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Quando Luca Vincenzini mi ha contattato chiedendomi di scrivere un'introduzione su Shaktipat per la ristampa del suo libro, mi sono sentito lusingato perché so bene che Luca è perfettamente consapevole di cosa sia Shaktipat e di quanto arduo sia parlare di questo argomento. E perché non sono un santo. Solo un Siddha, un essere perfettamente illuminato, è in grado di trasmettere la più alta forma di Grazia.
Come vedremo infatti esistono ben 9 tipi di shaktipat o gradi di Grazia divina.
Mi sono sentito lusingato anche perchè non credo ci sia qualcosa di più delicato, difficile e importante di cui parlare quando si tratta di Tantra e più in generale di spiritualità. Quindi cercherò di fare del mio meglio, mirando ad un equilibrio tra sfumature tecniche e sfumature pratiche così che possa essere fruibile da più persone, ma avviso già il lettore che qualsiasi cosa mi accingo a dire non potrà essere nemmeno un riflesso di ciò che shaktipat è, e soprattutto di ciò che fa. Perchè? Per un motivo molto semplice: shaktipat è la pura e diretta Grazia del divino. Di conseguenza è facile intuire che nessun testo e nessun santo può avvicinarsi ad esprimere la Grazia o gli effetti della Grazia attraverso il linguaggio.
Nel libro tutti i termini sanscriti sono trascritti in iast. Qui invece, a volte, userò dei termini in versione english per facilitare il lettore.
Il seguente articolo è protetto da ISBN su "Tantra di Rudra, filosofia dell'India a dialogo con le neuroscienze, fisica quantistica, astrofisica, psicologia del profondo e logica metafisica". Libro che puoi acquistare a questo link.
Śaktipāt, śaktipāta o shaktipat è un termine composto da “śakti” (shakti) che si traduce come "energia", "potere", “potenza”, ma può essere tradotta anche come “grazia”, e “pāta o nipāta” che significa "caduta", "discesa". Quindi il suo significato letterale è appunto "discesa dell'energia o della Grazia". Di quale energia si parla? Dell’unica energia che sottende ad ogni fenomeno, ovvero l’energia dell’infinita coscienza estatica di cui ogni cosa è fatta, il cui unico scopo è quello di risvegliare il divino che è in ognuno di noi. Il concetto di shaktipat può sembrare molto esoterico, tuttavia è una forma naturale e, al tempo stesso, antica di “pratica spirituale” che può essere trovata nello śivaismo, nello śāktismo e nel buddhismo. Si riferisce alla trasmissione di “energia spirituale” da una persona (un insegnante, un guru) a un'altra (uno studente-śiṣya, un devoto-bhakta) per mezzo dello sguardo, del tocco, di un mantra o della volontà (saṅkalpa) di un iniziato. Per essere ancora più specifici possiamo dire che è la trasmissione dell’energia della kundalini, da parte di chi vive già tale energia attivamente, in modo da risvegliarla anche in colui/colei che la riceve.
Kundalini è un termine molto pericoloso da usare oggigiorno poiché, essendo spesso frainteso, è abusato nel suo significato. Purtroppo se ne sentono di tutti i colori circa il suo risveglio, senza la minima consapevolezza e competenza da parte di chi dovrebbe risvegliarla. Per cui è doveroso dire due parole a riguardo, così da offrire un po’ di chiarezza. Giova ricordare che la kundalini viene risvegliata solo per Grazia divina (kṛpā), ossia la kundalini dormiente è risvegliata da quella attiva, non c’è nessun intervento umano in tale processo. Qualsiasi tentativo di forzarne il risveglio attraverso sostanze o tecniche esoteriche (volte magari a raccogliere siddhi, cioè poteri spirituali e abilità di vario genere), non conduce a nulla di buono e, anzi, è rischioso perché sarebbe come provare a far entrare un carro armato dalla porta di casa. Ciò che è saggio fare invece è creare le condizioni favorevoli, rendere il terreno fertile affinché la Grazia possa fare il suo corso più agevolmente.
Kundalini (l’arrotolata da kuṇḍal-riccio e inī-suffisso femminile) è un termine della lingua sanscrita usato per indicare un aspetto dell'energia divina, Shakti (Śakti), presente nel corpo umano in forma quiescente, essa giace arrotolata come un serpente alla base della spina dorsale, nel primo cakra, mūladhāra, o bulbo della radice. Ѐ perciò simboleggiata da un serpente, simbolo di conoscenza e trasformazione fin dall'antichità anche in altre tradizioni. Nella tradizione induista si dice che il serpente sia Śakti, l'aspetto femminile, dinamico e manifesto del divino che ha creato ogni cosa, il quale si vuole ricongiungere, partendo dal lago della nescienza (Manasarovar), con l'altra faccia della medaglia, ovvero Śiva, l'aspetto maschile, silenzioso e immanifesto della Coscienza, ossia la sommità del monte Kailāsa. Kundalini Shakti nella forma di Citi Śakti, o energia della Madre Divina, è la forza creativa dell’universo. È questa energia che si manifesta, di sua spontanea volontà e per gioco (vilāsa), come questo intero universo in tutta la sua diversità (bahutā). Il mondo è il gioco del potere della Coscienza Universale. La Dea è la fonte della nostra forza vitale, è l'energia che letteralmente dà la vita, la "corrente elettrica" che fa battere il cuore, che manda gli impulsi cerebrali, che fa circolare il sangue, che permette la formazione del bambino nel grembo della madre, è la stessa energia che dà vita all'universo intero. Nell’individuo comune essa rimane pressoché ferma, dormiente, fino al momento della morte per poi tornare alla fonte, o fino a quando non viene risvegliata in vita. Il risveglio può avvenire in modo lento e graduale o in modo rapido ed esplosivo.
“Suptā guruprasadena yadā jagarti kuṇḍalī tadā sarvāṇi padmāni bhidyante granthayo’pi”, “Quando la dormiente kuṇḍalinī è svegliata per mezzo della grazia del maestro, allora tutti i loti e anche i nodi sono aperti”, Haṭhapradīpikā, traduzione Diego Manzi. Shaktipat è, allora, quella stessa energia vitale trasmessa dall'insegnante allo studente. Ecco che, in tale prospettiva, il ruolo del maestro diventa cruciale. Se kundalini è il potere della vita, shaktipat o kundalini shaktipat è l'interruttore che l’accende, la sveglia che la desta dal suo sonno, così da permettere all’anima di evolversi spiritualmente fino a riconoscere la propria vera natura di sat-cit-ānanda ovvero esistenza-coscienza-beatitudine, un oceano di amore incondizionato senza inizio e senza fine. Quando viene risvegliata inizia gradualmente il processo di presa di consapevolezza, devota e umile, di unione con la realtà divina. Con kundalini shaktipat non è l’individuo a meditare, ma è il divino che medita attraverso lui/lei, donando solo ciò di cui si ha bisogno e, soprattutto, esclusivamente solo ciò che si può sostenere, in termini d’intensità, in quel preciso momento. Non potrebbe essere altrimenti trattandosi di un’intelligenza perfetta. Per mezzo del risveglio si avvia il processo attraverso il quale un essere umano riconosce l'amore, intrinseco ed illimitato, che dimora nel proprio cuore come in ogni altra forma creata: è quell'amore estatico che rivela i segreti dell’esistenza e manifesta l’esperienza di unità con il Tutto. Ovviamente non si tratta della bacchetta magica delle favole e, sebbene, la mente di un cercatore possa suggerire di sedersi sugli allori dopo aver ricevuto shaktipat, bisognerebbe invece intensificare le proprie pratiche in modo da investire, e non dilapidare, il tesoro che è stato donato. In altre parole, quando il fuoco interiore è stato acceso, o rinvigorito nel caso non sia la prima volta, si tratta di continuare ad alimentarlo con le pratiche (abhyāsa).
È importante comprendere che shaktipat non è una tecnica o una qualche forma di meditazione, ma un vero e proprio atto di Grazia. Un’iniezione di energia che attiva/facilita, in forme ed intensità diverse, il dispiegamento della kundalini nello studente. Così facendo il viaggio di evoluzione spirituale del cercatore viene reso più concreto e completo perché può finalmente incontrare da vicino la faccia della medaglia relativa a Śakti, all’energia dinamica amorevole dell’Assoluto, non solo nell’aspetto meditativo silente ed immanifesto di Śiva. L’apparente coppia di opposti Śiva-Śakti, yin-yang, yab-yum (padre-madre), śūnya-rūpa (vuoto-forma), nirguna Brahman-saguna Brahman (Assoluto con o senza sostrati), esprime contemporaneamente l’unità, da una parte, la dualità dall’altra, l’unità e la dualità assieme, e né l’una né l’altra. Seppur apparenti, queste due facce sono entrambe necessarie per formare la medaglia. Quindi se ne manca una, ovvero se il cercatore non le integra entrambe, non può riconoscere la Verità (satya).
A questo punto ci si può chiedere quali sono gli effetti di shaktipat e soprattutto da cosa dipendono gli effetti. Perché se è vero che siamo tutti fatti della stessa sostanza (ekarasa), è anche vero che ognuno di noi ha un sistema corpo-mente-spirito unico e si trova in punti del cammino diversi. Shaktipat è come andare alla sorgente del fiume. Lì c’è sempre una quantità inesauribile d’acqua, ma dipende quanto è capiente il contenitore con cui la si raccoglie. Gli effetti variano così da ricevente a ricevente. In generale il sistema corpo-mente-spirito del ricevente viene impattato da un’onda di benessere e di grande energia spirituale, la quale agisce a livello sottile per sciogliere la contrazione originaria (ādi mala), e i relativi blocchi ad essa connessi, causata dall’erronea identificazione con un “io” separato a cui l’anima si aggrappa disperatamente, pur essendo la causa di ogni sofferenza e di per sé illusorio (mithyā), non esistente (anātman). Lo si può immaginare come un processo di erosione (a velocità differenti) destinato a togliere tutta l’ignoranza che offusca la Verità: il flusso incessante di coscienza estatica. Durante la trasmissione possono sorgere delle kriyā, movimenti involontari dettati dall’intelligenza divina, volti a compiere una purificazione. Gli effetti dell’energia si manifestano in diversi modi: c’è chi durante la trasmissione non sente nulla (e magari gode degli effetti dopo di essa); chi vive uno stato di meditazione profonda; chi percepisce calore o brividi o beatitudine estatica in una o più parti del corpo o diffusa ovunque; chi entra in samādhi; chi ha movimenti involontari del corpo; chi ride e/o piange; chi sente suoni, profumi o ha visioni di vario genere; chi vive esperienze di espansione e via dicendo.
Dopo la ricezione di kundalini shaktipat possono verificarsi svariati effetti, che possono essere immediati o graduali, temporanei o permanenti, tra cui: non identificazione con pensieri, emozioni e circostanze esterne; grande pace e appagamento interiore; apertura del cuore con conseguente incremento di compassione, empatia, amore, devozione e abbandono al divino; diminuzione della quantità dei pensieri; dissolvimento di ansie, paure e sofferenze; beatitudine o estasi ad occhi chiusi (durante lo stato di meditazione) e/o ad occhi aperti (durante lo stato di veglia); meditazioni più profonde; rimozioni di schemi di pensiero e comportamentali, e di blocchi emozionali-energetici, etc. In una parola: viene potenziato lo stato di coscienza “ordinario”. Ciò non significa che sia tutta discesa, anzi questa energia può portare a galla molte cose che devono essere processate e lasciate andare. Però funge da acceleratore, specialmente perché gli effetti non si esauriscono in pochi giorni, ma in maniera latente l’energia divina continua ad accompagnare il cercatore. Va da sé che, se non si continua a nutrire la coscienza tramite le pratiche e la ricezione di altre trasmissioni di shaktipat, o se peggio si spreca l’energia attraverso abitudini poco salutari, prima o poi, il suo influsso si andrà ad esaurire, quantomeno in questa vita.
Ebbene, da cosa dipendono gli effetti nel ricevente? La riposta breve è che ci sono una miriade di fattori che influiscono per cui è impossibile pensare di stabilire cosa determina cosa. La risposta un po’ meno breve è che tutto dipende dal proprio karma e quindi, da un punto di vista più tecnico, da quanto la coscienza individuale sia “risolta”. Quanto più lo è, tanto più il nostro sistema è in grado di sostenere il flusso di Pura Coscienza (parasaṃvid) e Infinita Beatitudine (nityānanda) sempre presente nella creazione.
A proposito di effetti, nel Tantrasāra, Abhinavagupta parla di nove tipologie, nove intensità di shaktipat. Svāmī Lakśmanjū le riprende nel suo libro “Kashmir Shaivism, The Secret Supreme”, nelle prime due è richiesta solo la grazia di Śiva e nient’altro, nelle restanti sette c'è bisogno di un Guru fisico:
1. tīvra-tīvra-śaktipāta: "Grazia Suprema Superiore", produce l’identità immediata con Śiva e la liberazione; a causa dell'estrema intensità di questa grazia, il corpo fisico muore; un tale essere diventa un maestro Siddha e dona grazia dalla sua dimora (Siddhaloka), direttamente nel cuore degli aspiranti meritevoli;
2. tīvra-madhya-śaktipāta: "Grazia Suprema Intermedia", un tale essere diventa liberato da solo, facendo affidamento direttamente a Śiva, senza bisogno d’iniziazione o di istruzione da parte altri guru incarnati. Ciò è facilitato da un intenso risveglio della sua intuizione divina (pratibhā) che guida il cercatore da dentro ed elimina presto l'ignoranza. Abhinavagupta, nel Tantrāloka, distingue due sottolivelli: coloro la cui intuizione è ferma; coloro la cui intuizione è esitante, che hanno bisogno di più pratica per stabilizzarsi e quindi possono seguire un guru, studiare le scritture o praticare lo yoga;
3. tīvra-manda-śaktipāta: "Grazia Suprema Inferiore", la persona che ha ricevuto questa grazia desidera fortemente trovare un guru appropriato. Però non ha bisogno d’istruzioni, bensì è bastevole un semplice tocco, uno sguardo, l’essere in presenza del suo maestro è sufficiente per innescare in lui lo stato di illuminazione;
4. madhya-tīvra-śaktipāta: "Grazia Intermedia Superiore", un discepolo che riceve questa grazia desidera ricevere l'istruzione e l'iniziazione da un guru perfetto, col tempo diventa illuminato, tuttavia non è totalmente assorbito in questo stato mentre è in vita e riceve uno stato di fusione permanente con Śiva solo dopo la fine della sua vita.
5. madhya-madhya-śaktipāta: "Grazia Intermedia Intermedia", un tale discepolo riceve l'iniziazione dal suo guru e ha un intenso desiderio di ottenere la liberazione, ma allo stesso tempo ha ancora il desiderio di godere di svariati piaceri mondani; dopo la fine della sua vita, continua a goderne nei paradisi ultraterreni (svargaloka) dove soddisfa tutti i suoi desideri. Dopo di che non scende di nuovo in questo mondo, bensì riceve l'iniziazione finale dal suo maestro mentre è ancora disincarnato e, così, realizza l'unione permanente con Śiva;
6. madhya-manda-śaktipāta: "Grazia Intermedia Inferiore", è simile alla "Grazia Intermedia Intermedia" eccetto che in questo caso l'aspirante desidera i piaceri mondani più dell'unione con Śiva, egli/ella ha bisogno di reincarnarsi di nuovo come ricercatore spirituale per raggiungere la liberazione;
7-8-9. manda-tīvra-śaktipāta; manda-madhya-śaktipāta; manda-manda-śaktipāta: "Grazia Inferiore Superiore", "Grazia Inferiore Intermedia" e "Grazia Inferiore Inferiore", per coloro che ricevono questo livello “più gentile” di grazia, l'aspirazione ad essere uniti a Śiva è presente solo nei momenti di angoscia e sofferenza. Le loro tendenze sono orientate prevalentemente verso il mondo ed i piaceri mondani. In tal caso la grazia di Śiva ha bisogno di lavorare in queste anime per molte vite prima che avvenga la liberazione.
Come si può notare esistono diversi gradi attraverso cui la Grazia opera e ciò risulta evidente quando si vedono le persone reagire in modi differenti di fronte a shaktipat. In precedenza dicevo che ognuno di noi si trova ad un punto diverso del cammino, con un differente grado di ignoranza, di karma da smaltire e di pulizia ed apertura mentale. Questo riflette, ovviamente, anche le proprie resistenze, il grado di volontà, di umiltà, di fede, la predisposizione alla comprensione, l’intensità del desiderio di unirsi al divino e via dicendo.
Ѐ essenziale tenere presente, come disse Muktānanda, che: “La Grazia dello studente è pari a quella del guru che trasmette shaktipat”, perché l’apertura del ricevente modella l’esperienza che si andrà a vivere. Come al solito le facce della medaglia sono sempre due: la Grazia (anugraha) e lo sforzo personale (śrama). Ecco perché a volte si dice che shaktipat non viene dato dal maestro, ma viene “rubato” dallo studente (vedi l’esempio dell’emorroissa di Cafarnao). Tutto ciò può suonare strano ad un profano, ma è lo stesso meccanismo per cui: “quando l’allievo è pronto, il maestro appare”, come recita un famoso proverbio orientale. Solo se lo studente è sufficientemente maturo, umile, aperto, desideroso, ossia solo se il recipiente con cui si va al fiume a raccogliere l’acqua è vuoto, allora è possibile per la Grazia operare in modo profondo. Quando invece si crede di sapere tutto o quando si prende come riferimento la quantità di anni praticati o il fatto di aver incontrato il “maestro X” o di aver avuto le “esperienze Y”, allora non si può portare a casa molta acqua perché il contenitore è già pieno, non c’è spazio per altro. Fino a che non c’è yoga, ovvero unione completa con la nostra vera natura divina, è fondamentale ricordare che siamo tutti al primo giorno di scuola (“Mente zen, mente di principiante”).
Come dicevo all’inizio però, conta anche lo stato di coscienza che vive colui che trasmette shaktipat. A parità di condizioni del ricevente, se a trasmettere è un insegnante con un alto grado di realizzazione, un Siddha o un Mahāsiddha, o un insegnante avanzato ma non realizzato (adhikārin), le cose cambiano di molto perché quanto meno è consapevole colui che trasmette, tanto meno la trasmissione risulta efficace e “pulita”, scevra dalle impressioni mentali (saṃskāra) dell’insegnante. Nonostante le vie del Signore siano infinite, sappiamo che in genere non è possibile trasmettere qualcosa di più alto rispetto a ciò che si vive.
La differenza più importante è che la trasmissione di shaktipat da parte di un Siddha o di un Mahāsiddha non ha un effetto limitato solo a questa vita (come quella dell’adhikārin), bensì accompagna colui che la riceve anche nelle vite successive, essendo l’intenzione (saṅkalpa) del Siddha perfetta. Sicuramente l’azione della Grazia, di qualsiasi intensità essa sia, è sempre un valore aggiunto al percorso di un cercatore, dato che senza di essa niente è possibile.
A prescindere non si sbaglia mai se si continua a fare la propria parte ogni giorno coltivando il desiderio e, allo stesso tempo, l’abbandono al divino. Queste sono le due forze presenti nel percorso di un cercatore. Il nostro compito è quello di muoverci nella via di mezzo, per evitare i rischi degli estremi e per godere dei benefici di entrambe le forze.
Una volta ho sentito dire da un maestro una frase che mi è rimasta impressa, tanto vera e pratica quanto controversa: “Kundalini Shakti è per le persone che non sono soddisfatte nel realizzare il divino; Kundalini Shakti è per quelli che vogliono sentire il divino (nel corpo)”. Ecco, al di là dell’unione con il sacro che per definizione è il massimo auspicabile per chiunque, cosa c’è di meglio dell’Infinita Grazia di poter sentire la Grazia in tutta la sua beatitudine estatica attraverso di noi? Chi non vorrebbe immergersi, sciogliersi, unirsi per sempre in un oceano di beatitudine senza alcuna separazione?
Shaktipat tratta proprio di questo, va direttamente al punto.
Concludo riportando una frase di Swami Muktananda, un Siddha vissuto nel secolo scorso, il quale ha avuto l’incredibile merito di incontrare ed essere discepolo di Bhagawan Nityananda (nella foto qui sopra), un Mahasiddha che ha giocato un ruolo essenziale nel riportare in auge shaktipat e che elargisce tutt’oggi grandi benedizioni pur non essendo presente fisicamente. Una frase che a mio avviso è tanto meravigliosa quanto saggia e che dovrebbe far riflettere molto un cercatore, qualsiasi sia il punto del cammino in cui si trova o la tradizione di cui fa parte:
“L’amore è la vera natura di Dio, che gli autori hanno chiamato suprema Beatitudine, sat chit ananda. Esso esiste in tutta la sua pienezza all’interno dell’uomo. Anche se non lo sperimentiamo, è lì. Un cieco che non ha mai visto la luce, quando ne sente parlare potrebbe dire: “Non esiste la luce. Io non l’ho mai vista. Non so cosa sia.” Eppure la luce esiste. E’ lui che non ha gli occhi. Allo stesso modo, che lo sperimentiate o meno, l’amore esiste. Se non avete seguito il sentiero dell’amore, se non avete cercato di trovarlo, come potete raggiungerlo?” (Il gioco della Coscienza, Swami Muktananda)
Ringrazio dal profondo del cuore ogni singolo maestro che ho incontrato fisicamente e non fisicamente. Senza la loro Grazia non potrei fare un passo e non avrei potuto incontrare l’amore divino che stavo disperatamente cercando. Che la Grazia possa continuare ad accompagnare ogni cercatore fino all'unione per l’eternità. Omaggi ai Siddha passati, presenti e futuri 🙏
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"A prescindere non si sbaglia mai se si continua a fare la propria parte ogni giorno coltivando il desiderio e, allo stesso tempo, l’abbandono al divino." Quello che ormai mi sbaraglia è riconoscere come, dietro ogni singola rimostranza egoica o insofferenza apparente, il solo appello reale è Amare nel senso transpersonale di essere l'Amore che ci vive. Meglio sarebbe dire: "Permettere". Per qualche ragione siamo resistenti a un Amore così totale: tutta l'esistenza è resistere. Arrendersi continuamente è una pratica spirituale che ancora non osservo abbastanza, eppure non c'è altra via. Arrendersi è anche vuotare il contenitore dal "io so, ho visto, voglio, aspetto, ho capito, pretendo". Quando l'arroganza mentale riemerge mi aiuta riconoscere che è solo mente ma anche…